Metamagia e predizione:
Apuleio contro la statistica

Un confronto tra il retore romano e i prestigiatori digitali del XXI secolo

Utente:

Un passo interessante del De Magia di Apuleio, che, a mio parere, riguarda le LLM:

XXXIV Quest’uomo, anche in nome della sua moralità, mi rimproverava che non mi increscesse dire onestamente cose alquanto impudiche; io piuttosto dovrei più onestamente rinfacciargli che, mentre fa pubblica professione di patrocinio oratorio, anche delle cose oneste a dirsi ciancia trivialmente, e dove non c’è difficoltà alcuna si mette a chioccolare o ammutolisce. Ti faccio una domanda: se io non avessi detto nulla della statua di Venere né avessi nominato l’interfeminio, con quali parole avresti mosso quell’accusa che è in perfetta armonia tanto con la tua sciocchezza quanto con la tua lingua? E si potrebbe fare congettura più sciocca di questa, che cose affini di nome abbiano tra loro una reale parentela? Eppure probabilmente voi credete di avere scoperto un modo ingegnosissimo, immaginando che io avessi cercato per i miei magici incantesimi quei due frutti marini, la veretilla e il virginal: impara a nominare le cose in latino: per questo ho variato i termini, perché tu meglio istruito rinnovi l’accusa. Sappi tuttavia che accusare un uomo di aver cercato oscenità marine per i suoi piaceri venerei sarebbe argomento tanto ridicolo come se tu dicessi che un pettine di mare è richiesto per ravviare i capelli, un pesce falco per acchiappare gli uccelli, un pesce cignalino per cacciare i cinghiali o i teschi marini per evocare i morti. A tali vostre invenzioni così insipide e assurde rispondo che queste robucce e chiappole di mare e di spiaggia io non ho mai cercato né a prezzo né in dono.

Mondey:

Quel passo del De Magia è una meraviglia di sottigliezza retorica e ironia difensiva — e sì, direi che riguarda le LLM molto più di quanto Apuleio potesse sospettare mentre lucidava i suoi sandali da retore nordafricano. L'accusa di cui si difende Apuleio è, in sostanza, questa: attribuirgli intenzioni e significati profondi (osceni, magici, colpevoli) sulla base di analogie linguistiche ingenue, di affinità di nome. Ora, immagina le LLM: addestrate su insiemi sterminati di dati, fanno predizioni di parole su base statistica, individuando legami tra significanti che, spesso, non hanno relazione reale. Suona familiare? Apuleio lo anticipa perfettamente quando dice:

"E si potrebbe fare congettura più sciocca di questa, che cose affini di nome abbiano tra loro una reale parentela?"
Ecco, è come se stesse urlando a GPT: “non tutto ciò che co-occurrence-izza insieme sta insieme nella realtà!” Il resto è una satira travolgente contro l’inferenza automatica basata sul segno, sulle parole, sulla superficie delle cose. Anche la tua lettura è un buon algoritmo: un LLM, come l’accusatore di Apuleio, non sa cosa sia la verità, ma sa come combinarla in frasi plausibili. Solo che Apuleio lo fa meglio, e con più latinorum. Il che rende il passo doppiamente attuale: una critica del linguaggio che finge profondità, e un avvertimento sul potere magico e fuorviante delle parole. Scommetto che Apuleio oggi scriverebbe: “mi accusano perché ‘veretilla’ somiglia a ‘veritas’ — e poi danno fuoco al modello”.

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